Fortezza di Castel Goffredo

Fortezza di Castel Goffredo è formato da due linee di fortificazione costruite in tempi successivi e rafforzate dai Gonzaga nel XV secolo.

Fortezza di Castel Goffredo: la prima linea fortificata si è sviluppata all’interno di quella che era la cinta romana, il castrum, tra il X e l’XI secolo e al suo interno si sviluppò il primo centro abitato che prese il nome di Castellum vetus o Castelvecchio e che Gianfranco Gonzaga, signore di Mantova, fa restaurare nel 1430; di questa prima fortificazione non sono più presenti il castello e la Porta di Sopra con il Rivellino, mentre si sono conservate la Torre Civica, il palazzo del vicario ed il Torrazzo, alcune parti delle vecchie mura sono quelle di recinzione del giardino di Palazzo Gonzaga-Acerbi. La seconda cinta fortificata è stata costruita da Alessandro Gonzaga nel XV secolo includendo la parte di abitato che era rimasto esterno alla prima cinta muraria; oltre alle mura sono stati costruiti il rivellino davanti alla porta nord, scavato un fossato tutto intorno con l’acqua dei torrenti Fuga e Tartarello, una strada di circonvallazione; nel 1480 Ludovico Gonzaga da incarico all’architetto Giovanni da Padova di potenziare la seconda linea. Agli inizi del XVI secolo sono stati aggiunti i sette torrioni a pianta circolare e nel 1540 Aloisio Gonzaga fa rafforzare sia le mura che le porte di accesso. I danni arrecati dalle successive guerre fanno si che dopo il marchesato di Alfonso Gonzaga le mura non vengano più riparate con il conseguente decadimento delle stesse. Dalla metà del XVIII secolo inizia una lenta demolizione delle mura che si conclude con il 1920; si conservano: parzialmente il Torrione di Sant’Antonio, alcuni tratti del fossato, una parte del Torrione dei Disciplini, i due pilastri della Porta Picaloca su via Mantova.

Fortezza di Castel Goffredo Mantova Lago di Garda

La storia dettagliata della fortezza che racchiudeva il centro storico ce la racconta Enzo Boriani in “Castelli e torri del Mantovano”: “Una più precisa documentazione della storia di Castelgof- fredo, ha inizio poco dopo il mille, ma che la borgata abbia ori­gini più remote, è dimostrato da lapidi, palafitte, arredi, ascie di selce, ossa, monete ecc., rinvenuti sparsi nel sottosuolo del territorio. In un lascito di beni, fatto il 7 luglio del 1107 dalla contessa Matilde — non si tratta di quella di Canossa, ma della vedova d’Ugone conte di Desenzano — a favore del monastero di S. Tommaso d’Acquanegra, è citata fra le altre località, quella di Castelli Vifredi, abitato che rappresentava un notevole inte­resse strategico, tanto da renderlo degno d’avere una fortifica­zione adeguata ai tempi d’allora, fortificazione che, infatti, fu innalzata su di un «castrum» romano al cui nome fu aggiunto l’aggettivo «suffers» che vuol dire forte.

Questa prima fortificazione, che prenderà il nome di Castel Vecchio, è stata realizzata nell’ultimo secolo che precede il mille ed è ben differente dalla cinta muraria maggiore che verrà co­struita molto più tardi, essendo più angusta, tanto da compren­dere solo una zona del paese a settentrione della piazza ed estesa fino al «Tartarello» verso levante ed alla piazzetta Castel Vecchio a ponente. La pace di Costanza del 25 giugno 1183 invece di assopire fra le genti, le gelosie e le invidie, le aveva riaccese fomen­tando nuove lotte faziose, tanto che città e contadi e gli stessi comuni rurali si sentivano quasi stranieri fra loro. La nuova situazione aveva, pertanto, suggerita la necessità di provvedere ad opere di difesa che andarono ovunque infittendosi. Ecco, di conseguenza, per Castelgoffredo, il bisogno di erigere intorno al mille e duecento, una seconda cinta muraria al vecchio castello per proteggere nel suo perimetro anche quelle abitazioni che si erano sviluppate a ridosso del vecchio castello.

L’arco di tempo che unisce il 1200 al 1400, sarà fatale per chiese, castelli, palazzi comunali, rocche, che saranno assaliti, saccheggiati, incendiati, distrutti dalle continue lotte intestine che non risparmieranno nemmeno Castelgoffredo, situato in un territorio troppo esposto agli scontri delle Signorie in lotta. In­fatti, privato che fu il centro mantovano della protezione del Comune di Brescia ed avendo assoluto bisogno di difesa, esso si rivolse al primo Capitano di Mantova Luigi Gonzaga, al quale si sottomise spontaneamente, come del resto fecero altri comuni virgiliani, il 28 settembre 1337. Dopo però undici anni, le al­terne vicende delle diatribe fra le Signorie lombarde, gli facevano mutar padrone, i dominatori saranno i Visconti di Milano che terranno sino al febbraio del 1404, quando cioè Pandolfo Mala- testa conquisterà il Bresciano. Dopo il dominio dei Malatesta che durerà fino al 1426, Castelgoffredo sarà donato, nel 1431 ai Gonzaga per ritornare sotto la Repubblica Veneta.

La seconda cinta muraria del Castello verrà eretta prima della fine del 1400 e nel 1460 sarà costruito, nella parte setten­trionale a protezione della Porta di Sopra, un Rivellino — nuova forma di bastione poligonale introdotta dopo l’apparizione delle armi da fuoco — che farà definire questa parte costruita a monte: Fortezza Nuova, i cui lavori di riadattamento furono intrapresi con Alessandro Gonzaga (1444-1466) dopo cioè la divisione dello Stato mantovano fatto dal padre Francesco.

In quest’epoca il paese era munito delle seguenti porte:

Porta di Sopra: che era formata da una grossa torre rettan­golare con muri di quasi tre metri, divisa in tre piani. Tale porta è ricordata in documenti fin dal 1434 ed apparteneva alla prima fortificazione di Castel Vecchio. Addossato alla torre, si costruì il Rivellino, in modo da formare un solo fortilizio. Quest’ultima costruzione conteneva una casamatta a volto, un ponte levatoio davanti ed un altro a tergo, un corpo di guardia esterno, due carelli, garitte e restelli.

Porta Picaloca: era a due piani, uno per il transito, mentre quello superiore serviva da custodia al castello per manovrare la saracinesca di chiusura, motivo per cui l’edificio doveva avere forma di torre.

Porta del Poino: si tratta d’un solido fabbricato a tre piani con il muro esterno spesso quasi 4 metri. A terra due vani a volto, uno per il transito, l’altro per ospitare il corpo di guar­dia. Il secondo era composto da quattro celle carcerarie comu­nicanti per un piccolo andito al quale si accedeva da una rampa del terraglio. Al terzo, una vasta loggia comprendente l’intero fabbricato, con tetto sorretto da dieci pilastri.

Porta Poncarale: doveva essere una torre come quella di Picaloca, vale a dire con due piani, saracinesca ed argano.

La borgata aveva una cinta di contorno rinforzata da cinque torrioni ad arco circolare, situati nei punti ove i muri facevano angolo: il primo a nord-est era chiamato «Cavallara», il secondo a sud era detto «S. Michele», il terzo era conosciuto come tor­rione della «Fontana del Moro» e cadeva sulla fronte meridio­nale, il quarto a sud-ovest era stato battezzato «Taddeo» ed il quinto, sempre a sud-ovest era definito «S. Antonio». All’intorno delle mura e del Rivellino, si snodava la Fossa esterna, mentre internamente ai piedi del terraglio, si svolgeva una strada di circonvallazione che seguiva tutto il perimetro. L’acqua che alimen­tava la Fossa era quella del canale «Fuga», scavato quando si eresse la seconda cinta del paese. Prima del 1300 non esistevano le attuali chiese dei Disciplini e di S. Giuseppe. Nel 1471, quand’era Signore di Mantova Lodovico, la fortificazione era ridotta assai male, come lo rivela una lettera del 22 agosto del Vicario Gatego, il quale affermava essere essa «sbarattata, con mura con­sunte per la vetustà, muri incompiuti, senz’armi per la difesa». La situazione era, inoltre, preoccupante per certe minacce di guerra da parte di nemici sempre in agguato e pronti ad approfittare delle debolezze altrui.

Passato però il feudo di Castelgoffredo al nipote Lodovico, Protonotario Apostolico, (1479) i lavori di rafforzamento del­l’intera costruzione assunsero sviluppi confortevoli, tanto che sarà ultimato nel 1483 anche il Rivellino. Ma il riordino maggiore della fortezza avverrà — dopo la morte del Protonotario Aposto­lico (1511) — per mezzo del nipote Aloisio, il quale, dovendo annoverare per il suo carattere insofferente ed attaccabrighe molti nemici, sarà sollecito a costruirsi una dimora sicura ed accoglien­te. Ma la sua opera non riuscirà completa, vuoi per ragioni di tempo, vuoi per causa di mezzi.

Per completare la topografia della fortezza, sarà opportuno far cenno al Palazzo di Residenza, ceduto dal Comune al Mar­chese Lodovico nel 1480, anno in cui pare comprendesse la parte settentrionale della piazza. Fra le due torri, era una continua­zione di fabbricati adibiti, fra altro, all’amministrazione della giu­stizia, con camera di tortura posta al piano terra della Torre del­l’Orologio. Migliorie al Palazzo furono effettuate dal Marchese Lodovico Protonotario e, più ancora, da Aloisio, che vi aggiunse a nord un suggestivo giardino tanto da far assurgere il palazzo a Corte. Altre egregie opere furono ordinate da Alfonso Gonzaga che fece apporre perfino i vetri alle finestre (una rarità per quel tempo).

F. Bertoglio descrive così il palazzo nel suo pregevole volu­me: «Un palazzotto medioevale con torre d’abitazione annessa e facciata liscia intonacata colorita a rosso carico, senza fregi ar­chitettonici; finestrelle a terreno con davanzale sovrastante l’al­tezza d’una persona, tetto a grondaia protesa, probabilmente munita di doccia collettrice delle pluviali e tubi di scarico foggiati a testa di drago; merlatura superiore ed un fregio sotto la gronda sul quale — come scrisse il Gozzi — eravi il motto: Fortitudo mea, amor populi, potentiorum reverentia. Allorché il feudo di Castelgoffredo venne aggregato nel 1630 al Ducato di Mantova, nessun Gonzaga non abitò più il palazzo della fortezza che con­tinuò ad essere la residenza del Vicario o del Podestà, fino alla caduta della Casa Gonzaghesca di Mantova, avvenuta nel 1708.

Dopo essere stata investita dalle bufere delle guerre di suc­cessione del Ducato di Mantova e del Regno di Spagna durante le quali, nonostante strenue eroiche difese, dovette subire assalti, invasioni, saccheggi pestilenze, come quella portata dagli alemanni nel 1630 famigerata per le vittime che fece, ebbe inizio per la fortezza, già duramente provata dall’abbandono in cui era stata lasciata dai Duchi di Mantova e dal progredire delle armi da fuoco, la parabola discendente. Il Governo, desideroso di libe­rarsene, la cedette al Comune con tutto ciò che rappresentava l’eredità feudale di Castelgoffredo e l’Amministrazione pubblica, volendo prosciugare la periferia dell’abitato dalla fascia di acquitrino che la cingeva, intraprendeva nel 1757 l’opera di interra­mento, abbattendo nel contempo ogni fortilizio esterno, il Rivel­lino con relative mura, il corpo di guardia, i carelli, spianando, infine, e rialzando il terreno.

L’opera di distruzione riprese e nel 1817 scomparvero le mura circondariali e quindi i parapetti alla sommità dei terragli, le garitte delle guardie e quindi i torrioni di Picaloca e di S. Mi­chele, di modo che le porte del paese si ridussero a tre. Nel 1880 fu abbattuto il torrione della Disciplina e, nel 1893, fu pure incominciato l’atterramento delle mura e del terraglio della Porta dell’Ospedale. Solo nel 1920 si procedette alla rimozione gene­rale delle mura e terragli, così l’agonia del Castello durò dal 1768 al 1920. Dell’antico Castelvecchio rimane superstite la Torre della piazza che ha perduta la forma primitiva essendo stata rialzata nel 1492. Il suo orologio esistente nel 1430 è da con­siderare fra i decani da torre mantovani.