Zanzanù il bandito del lago di Garda

Zanzanù – Giovanni Beatrice o Zan Zanon detto Zanzanù, il leggendario bandito del lago di Garda (Gargnano aprile 1576 – Tignale 17 agosto 1617) che imperversò per lunghi anni nella Magnifica Patria nei primi due decenni del XVII secolo.

Zanzanù, la storia di un uomo che divenne leggenda: feroce assassino e rapinatore macchiatosi di innumerevoli delitti per le istituzioni della giustizia della Serenissima; uomo d’onore per la popolazione comune dell’Alta Riviera. Protagonista di molte storie tramandate dalla cultura popolare della Riviera di Salò a cui sono state attribuite gesta e imprese di ogni genere, temuto dalle istituzioni e dalle principali figure della politica cittadina del suo tempo, sommessamente sostenuto dalla popolazione, specialmente quella delle frazioni dell’alta Riviera. La sua figura di grande bandito è anomala in quanto si ritrova in questo ruolo non per vocazione, quanto piuttosto per una serie di situazioni (morte del padre, omicidio Ganassoni, ecc.) che lo portano ad essere considerato tale da tutti; in particolar modo ha contribuito a questo la “montatura” creata dai suoi nemici (tra i quali elementi delle famiglie di spicco della zona) con la connivenza di alte cariche delle istituzioni pubbliche bresciane e veneziane.

Zanzanù Giovanni Beatrice

Giovanni era figlio di Giovanni Maria Beatrice e Anastasia Manin, una famiglia attiva a Gargnano nel commercio e che vantava in più occasioni la propria partecipazione a cariche pubbliche; sposato con Caterina che gli diede parecchi figli. Tutto ha inizio nel 1602, il 24 marzo quando, durante una sfilata delle milizie cittadine (cernide) , Zanzanù ferisce a morte Francesco Sette, fratello del bandito Giacomo Sette detto il Chierico (verrà ucciso dai fratelli Baruffaldo di Turano ad Armo nell’aprile 1603, di cui uno farà parte poi della banda dei Zanoni), nipote degli arciprete di Gargnano Ercoliano Sette e Bernardino Bardelli, figlio di Riccobon Sette un agiato possidente di Vigole, contrada di Montemaderno, nemici di famiglia, e nella fuga viene coperto dallo zio Giovanni Francesco, che verrà anche lui colpito da bando e seguirà la stessa sorte. La morte del Chierico scatena una violenta faida tra le famiglie della zona che trova una parentesi solo con la pace del 30 agosto 1603 celebrata tra l’arciprete Bernardino Bardelli (uno dei principali fautori della faida) ed alcuni dei principali nemici della famiglia Sette, tra cui il padre di Zanzanù, Gian Maria Beatrice. Il 4 maggio 1605 però, l’ex seguace del Chierico Bernardino Manin ed altri, uccidono ad archibugiate Gian Maria Beatrice sotto la loggia del Comune di Gargnano, rompendo così la pace stipulata; questo fatto segnerà Zanzanù per tutta la vita e sarà il suo principale motivo di vendetta contro i suoi nemici (i mandanti Riccobon Sette ed il cognato arciprete Bernardino Bardelli) e di sfida alle istituzioni venete.  La risposta di Zanzanù e la sua banda non si fece attendere, iniziò subito una serie di agguati ai diretti interessati ed alle persone a loro vicine, con la seguente reazione dei provveditori veneti (Valier, Loredan, Barbarico, Michiel, Badoer) che cercavano in ogni modo di fermare questa escalation di violenza cercando vani rinforzi dalla Serenissima che inviava loro bande di cappelletti o di corsi. Tale era oramai la frequenza degli attacchi dei Zanoni e la connivenza tra i loro nemici e le istituzioni locali venete che venivano addossati loro anche delitti di cui non avevano colpa, tra i quali il più eclatante l’omicidio del podestà di Salò Bernardino Ganassoni, ucciso nel duomo durante la celebrazione del patrono della Riviera San Erculiano il 29 maggio 1610 da Antonio Bonfadino per vendetta in quanto ingiustamente incolpato di rapina dal podestà per volere di suoi rivali negli affari. Zuan Zanone venne comunque legato a questo omicidio e a causa di ciò il sopraggiunto provveditore d’Oltremincio Loredan Mocenigo mise in atto l’abbattimento della sua casa a Gargnano; questo fatto gli fece decidere di sfidare apertamente le autorità venete, e lo fece nel 1611 rapendo il mercante veneziano Stefano Protasio, proprietario di alcune cartiere, per procurarsi il denaro sufficiente al suo allontanamento in quel di Parma, che fece nei primi mesi del 1612 con un allontanamento che durò fino al 1615. Il suo ritorno venne salutato da buona parte della popolazione, ma i tempi erano cambiati, tirava vento di guerra tra la Serenissima e l’arciducato d’Austria e le autorità venete locali erano intente a preparare la popolazione ad una possibile invasione e, venuti a sapere del suo ritorno, presero misure drastiche per creare il vuoto intorno a lui colpendo duramente chiunque gli offrisse appoggio; inoltre la banda dava fastidio anche ad importanti mercanti di Desenzano e Salò per i loro traffici leciti ed illeciti, quindi si interessarono anche loro a mandare sicari per la loro eliminazione, tanto che caddero sotto i loro agguati Eliseo Baruffaldo e Giovan Pietro Pellizzaro. In quel periodo la Serenissima diede la possibilità a molti colpiti di bando di entrare a far parte del proprio esercito in cambio della libertà, quindi Zuan Zanone vide in questo una buona occasione per cessare la sua carriera di bandito e presentò domanda quindi ai vari Comuni e al Provveditore Michiel affinché intercedessero in suo favore presso il Consiglio dei Dieci a Venezia, la risposta fu positiva da parte di tutte le parti in causa, ma non da parte di Venezia; al rifiuto egli reagì ricominciando le sue rappresaglie nei confronti dei notabili di Gargnano ma il provveditore Michiel si preoccupò direttamente di contattare tutti i capi dei paesi dell’alta Riviera facendo forti pressioni affinché facessero il loro dovere e minacciando pene severe per chi si fosse astenuto; con queste prerogative venne affrontato qualche mese più tardi e con l’avvento del provveditore Giustiniano Badoer, Zanzanù e la sua banda, operazione che durò dall’alba al tramonto del 17 agosto 1617, quando venne sgominata la sua banda e lui stesso venne ucciso dopo un lungo inseguimento fino alla valletta delle Monible sopra Tignale. Finiva così la vita di un bandito che per più di un decennio era riuscito ad eludere la giustizia veneta in aperta collaborazione con una buona parte del nobilitato locale, vivendo alla macchia nei monti dell’Alta Riviera; a ricordare e “mitizzare” la sua figura ha contribuito anche il dipinto ex-voto commissionato dai notabili di Tignale al pittore Giovanni Andrea Bertanza (Padenghe 1570 – Salò 1630)  che lo realizzò nel 1618.

La rilettura storica di tutta la vicenda di Giovanni Beatrice da parte di Claudio Povolo nel suo “Zanzanù, il bandito del lago”, mette in luce una realtà “alternativa” a quella descritta ufficialmente dalle istituzioni del tempo, che evidenzia una situazione di faide familiari ed intrighi per il potere e per la supremazia economica (legata anche all’importante fenomeno del contrabbando) che includono l’omicidio e la calunnia come mezzi usuali per eliminare i nemici, il che fa guardare con altri occhi a quel fenomeno di banditismo tanto diffuso sul lago nel XVI e XVII secolo, specialmente con l’inizio della decadenza della Serenissima.