Palazzo Avogadro

Sull’angolo nord-orientale delle quadre di S.Giovanni, proprio dietro il palazzo delle Loggia, si trova il palazzo che è stato abitato da due delle più famose casate bresciane, gli Avogadro prima e i Martinengo Colleoni poi.

Palazzo Avogadro è citato nel testamento di Pietro Avogadro del 30 settembre 1473, passerà in seguito in dote a Bartolomeo Martinengo Colleoni di Malpaga nel 1620, nel 1707 al Pio Luogo della Magnifica Pietà di Bergamo e infine alla città di Brescia nel 1738. Durante il XVI secolo vengono eseguiti notevoli lavori di rinnovamento e Nicoli Cristiani data l’intervento di Lattanzio Gambara sul salone d’onore tra il 1566 ed il 1567.

Dall’odierno corsetto Sant’Agata, attraverso un portale originariamente incastonato in una delle facciate più decorate di Brescia ci si immette in un profondo androne coperto. Nella serie di locali compresi tra la scala a chiocciola di fattura medioevale e il limite est della fabbrica trovavano probabile collocazione le stalle e la rimessa per le carrozze.  La fronte ovest della prima corte presenta due aperture arcuate al primo ordine: quella a sud, su semi pilastri, immette in un «camerino» coperto con volta su mensoloni che accompagna al secondo cortile; quella a nord, su colonne con base e capitello, conduce, dopo un tratto rettilineo e l’attraversamento del terzo cortile, ad una serie di ambienti di servizio, tra cui la cucina, la camera «de carozzieri», aperta su vicolo del Declivio, la «selaria» e il «legnaro». ….  Il primo cortile consente l’accesso al piano nobile mediante due scale. La prima, posta sulla fronte nord, conduce direttamente al «salone grande» affrescato dal Gambara a monte del quale si colloca la chiesa coperta con volta a botte. A ponente  della sala di rappresentanza, passando attraverso una galleria, si aveva accesso alle stanze private organizzate in diversi ambienti disposti attorno ad una «sala grande» pressoché di forma quadrata. (Elisa Sala)

Fausto Lechi (vol.III, p.187) scrive di Palazzo Avogadro :Desolazione.  Nessun’altra parola può  esprimere meglio il sentimento che si prova entrando in questo edificio che fu la residenza di una delle  più  famose  casate  bresciane.  Sia  all’esterno  come  nei  cortili,  come,  del  resto  in  tutti  i locali interni (ad eccezione di uno, e quale eccezione) nulla o pochissimo rimane dell’antica dimora signorile. ….. Dopo  il  semplicissimo  portale  si  presenta  lo ampio  androne  nel  soffitto  del  quale  si  scorgono  ancora  gli  originali  travoni  con  mensole  e travetti. In cortile, a sinistra, vi è un locale negli angoli  del  quale  si  scorgono  peducci  con  fascia  a punta   di   diamante   ed   un   quarto   di   colonna ottagonale con capitello a foglie grasse. Sempre in quel lato del cortile vi è la scala a chiocciola che noi riteniamo sia l’originale del primo Quattrocento.  Erano fatte così le scale del Medio Evo, strette, anguste onde rendere difficile e difendibile l’accesso a chiunque avesse invaso il piano terreno.  La scala che si trova sul lato nord è di epoca più tarda. … Vi  era  poi  il  cortile  dei  servizi  dove  vi  saranno state le scuderie. …. L’antica scala a chiocciola arriva al primo piano in corrispondenza dell’ingresso ad una grande sala a pianta quadrata col soffitto a tre grandi travi. …. Da  questa  si  passa nel grande salone d’onore che trovasi al primo piano  fra  i  due  cortili. Il  suo  soffitto  è  caratteristico fra noi nella metà del sec. XVI, …. Tutte e quattro le pareti sono, per l’intero, frescate da Lattanzio Gambara. Il  complesso  di  grande  pittura,  nel quale il fecondo pittore bresciano dovette impegnarsi  a  fondo  per  fare  onore  alla  sua  firma, fu molto tormentato lungo i secoli2; così già lo descrive  il  Nicoli  Cristiani3    considerato  soprattutto  il  radicale  restauro  apportato  dal  Manfredini nel 1805. In alto gira tutto attorno una larga fascia sulla quale, per ognuno degli scomparti (sei nei lati lunghi  e tre  nei corti, in tutto diciotto) vi è un  quadro  con  una  scena  mitologica,  tolta  per lo  più  dalle  Metamorfosi  di  Ovidio,  affiancata da due figure di giovani uomini e donne a grandezza  naturale.  Per  la  loro  vigorosa  espressione sono  tra  le  opere  migliori  del  pittore.  Sotto la fascia,  là  dove  non  ci  sono  porte  o  finestre,  in grandi finte nicchie, immagini di divinità pagane o di personaggi degli antichi miti. Tutto questo complesso venne considerato la migliore opera del Gambara.”

Anche la facciata del palazzo Avogadro presentava un rivestimento che fonti imputano al Gambara; alcune pitture sono state trasportate ad inizio Novecento nella sala Giunta del palazzo della Loggia: il soffitto ligneo con il “Carro di Apollo” e la “Lotta tra divinità marine”, dodici porzioni di affreschi.